domenica 1 aprile 2018

La storia vera dietro a Moana - Antropologia Spiccia



L’antropologo in questione non sono io (anche perché non mi sento antropologa ma apprendista), ma un mio professore, specializzato in oceanistica. Non farò il suo nome qui perché i professori universitari si googlano sempre per vedere se qualcuno parla di loro, è risaputo, e io temo la querela.


Quindi insomma, parliamo di Moana, Oceania per l'Italia, ma mi ostinerò a usare il nome originale perché mi piace di più. L'Oceania è una cosa un po' artificiale, un concetto inventato dagli Europei, mentre Moana è un bellissimo nome locale che significa "oceano".


Dovete sapere che, prima di fare uscire il film, la Disney ha fatto un sacco di ricerche, andando sul posto, parlando con antropologi, con i nativi e con antropologi-nativi. E sono d'accordo col mio professore nel ritenere che non ha fatto un lavoro malvagio: sono tantissimi i rifermenti alle culture polinesiane che si riconoscono.
(Poi OVVIAMENTE è un'opera di fantasia, è tutto rielaborato per renderla una storiella adatta ai bambini di tutto il mondo, è questo che fa la Disney. Non stupiamoci se rielabora.)

Forse conoscete già alcuni riferimenti che ci sono nel film. Tipo Maui, che era un trickster nella mitologia polinesiana. Il mio professore era indignatissimo: quando mai si è vista una lingua austronesiana con l’accento sulla terzultima sillaba? Si pronuncia Maùi. Ecco. Ora non sbagliate più.
Un altro riferimento sono le imbarcazioni, disegnate come quelle storiche su cui i polinesiani solcavano l'oceano, o le stoffe di corteccia (si chiamano TAPA).


Ma lo sapevate che Moana si ispira a un fatto storico? Scommetto di no (o forse sì. In quel caso che state a fare qui? Probabilmente ne sapete più di me. Non leggete. Mi vergogno)
Torniamo indietro nel tempo di parecchi anni e innanzitutto chiediamoci: come caspiterina sono arrivate delle persone ad abitare su isole così piccole e sperdute che se fossero disegnate in scala su un planisfero sarebbero completamente invisibili? Considerate che Magellano, durante il suo giro del mondo, attraversò tutto l’oceano Pacifico, tre mesi di viaggio, e quando è arrivato nelle Filippine il suo commento deve essere stato qualcosa come: «Oh, bello questo oceano eh, proprio tranquillo, ma non c'è un ca**o». Ci sono circa 25.000 isole e lui non ne aveva beccata nemmeno una. Quando si dice la sfiga. Bisogna aspettare il 1700 e i viaggi Cook, Wallis e Bouganville perché noi Europei iniziamo a scoprire l'Oceania, e nuove isole abitate continuano a saltare fuori per buona parte dell'800.
Solo che di fatto l'Oceania era già stata scoperta da parecchio, quando gli europei sono arrivati a piantare le loro bandierine e a ribattezzare cose che un nome ce l'avevano già (e per di più con poca fantasia, visto che metà dei nomi erano Nuova – qualcosa). Visto che come europei siamo gli unici evoluti in un mondo di primitivi *inserire sarcasmo*, non abbiamo potuto capacitarci che un non-Europeo avesse scoperto qualcosa prima di noi, e abbiamo iniziato a farci domande: come hanno fatto a percorrere migliaia di km su una canoa e a beccare con precisione un’isoletta? Forse sono naufragati e sono arrivati spinti dalle correnti? Nope. Hanno fatto un test e non è proprio possibile. Alieni? Improbabile, se non sei Giacobbo. È stata un'esplorazione programmata. Per la precisione, sono stati tre flussi di esplorazione.
  1. Le migrazioni del Pleistocene, 36.000 anni fa, quando l’acqua era bassa.
    A quei tempi Australia e Nuova Guinea erano un continente unico che si chiamava Sahul, ed era separato da Sunda, l'odierna Indonesia, da (relativamente) poco mare e tantissime isolette. Quindi gli uomini primitivi sono arrivati un po' camminando un po' navigando. Easy Peasy. Più o meno, perché comunque hanno attraversato più volte il mare aperto, anche a quei tempi non era uno scherzo. Pare che sia stato il primo caso di navigazione intenzionale dell’umanità. Not bad, hu?


  2. Brace Yourself, Lapita is coming.
    I lapita erano una popolazione originaria, pare, di Taiwan, il cui hobby principale era fare vasi e navigare. Sono arrivati con le loro canoe più o meno fino alle isole Salomone. Fin qui era già abitato, ma non c’è problema, ai lapita piaceva vivere sulla costa, e gli altri potevano tenersi l’entroterra o mischiarsi con loro e creare una "razza" nuova. Dopo 200-300 anni di pausa, hanno deciso di spingersi oltre e hanno passato una linea che fino a quel momento non era mai stata oltrepassata: quella che divide l'Oceania prossima da quella remota.

    Se vi interessa sapere come hanno fatto ad esplorare un oceano senza bussole e senza gps, questa è la teoria: partivano controvento, nella stagione in cui soffiavano gli alisei, che sono venti costanti in intensità e direzione. Così, arrivati a metà delle provviste, invertivano la rotta e tornavano a casa rapidi rapidi, sospinti dalle vele. In base al volo degli uccelli, alla forma delle onde e al colore delle nuvole riuscivano a capire se erano vicini a un'isola.

    Qui le date si fanno un po' confuse e cambiano a seconda delle fonti, ma diciamo che nel giro di qualche centinaio di anni i navigatori lapita hanno esplorato 4500 km
    2 di oceano, fino ad arrivare circa 3500 anni fa alle Fiji (che poi sarebbe la Tefiti di Moana), a Tonga e Samoa.
Ecco, mettetevi qui una bella freccia rossa perché è in questo momento e in questo luogo che è ambientata la nostra storia. A Samoa, 3500 anni fa, le esplorazioni si sono fermate per 1000 anni, e nessuno sa perché. La navigazione è rimasta nella mitologia e in alcune forme ristrette, con le isole vicine, quella non si è mai fermata e non si fermerà mai. Hau'ofa, che era un antropologo tongano, rimproverava noi occidentali perché vediamo l'Oceania come tante isolette separate dall'oceano, e non come un mare di isole che dall'oceano sono unite. Ma qui scendiamo un po' nel filosofico, per stavolta vi risparmio.
La Disney con Oceania quindi ha fatto una specie di ipotesi fantasy sul perché della fine dei viaggi, e sul come del loro nuovo inizio.

  1. Ovvero uno spoiler di Oceania 2?
    Dopo mille anni di stop, misteriosamente come sono finiti, i viaggi sono ricominciati, e l'umanità è arrivata per la prima volta a popolare Nuova Zelanda (ovvero Aotearoa, la lunga nuvola bianca), le Hawai e Rapa Nui, cioè l'isola di Pasqua. I viaggi si sono di nuovo interrotti quando sono arrivati gli occidentali, e i missionari hanno deciso che non si poteva attraversare l'oceano in canoa e che "quella malattia pericolosa che è il viaggio deve finire."
E adesso? Negli ultimi anni si può dire che i viaggi sono ripresi. Non sono più viaggi di esplorazione, che con i satelliti non c'è più gusto, e invece delle canoe usano gli aerei, perché oh, chi glielo fa fare di andare su una barchetta di giunchi quando hanno mezzi più veloci e sicuri? Però viaggiare si viaggia, si viaggia eccome: verso paesi più ricchi e più grandi. Alcune isole hanno il 300% di emigrati, e la cosa favolosa, secondo me, è che pur andando a migliaia di chilometri di distanza mantengono un legame fortissimo con la comunità, che non sembra destinata a sparire sparpagliata nel mondo. Anzi, viaggiando creano nuovi legami, si arricchiscono non solo economicamente, e rivendicano un loro posto nel mondo moderno senza per forza rinunciare alle proprie radici. Un messaggio fra le righe di Moana, rivolto soprattutto ai giovani polinesiani, potrebbe essere proprio quello: riprendete i viaggi, fanno parte della vostra storia.


Oltre al riferimento storico, avendo dato almeno tre esami di antropologia su quest'area, vi potrei raccontare un sacco di altre cose sull'Oceania, antica e moderna. Cosa mangiavano, come venivano allevati i bambini, come vivevano la sessualità, come era la struttura sociale. Ma visto che scommetto che ho già perso almeno la metà di voi con la pappardella storica, rimandiamo a un'altra volta, e vi lascio qualche curiosità strettamente legata al film, sciorinate così, in un elenco puntato, perché a fare un discorso organico magari mi insegnano al prossimo esame.
  • La nonna, i tatuaggi e le mante.
    Il tatuaggio a forma di manta, così come i tatuaggi di Maui, sono rielaborazioni della Disney. Molte popolazioni polinesiane si tatuano, ma i tatuaggi hanno un pattern predefinito: uno per gli uomini, più denso, e uno per le donne. Poi ogni isola ha la sua versione, ma solitamente sono disegni geometrici, e venivano considerati sacri. Oggi l'usanza è un po' meno sentita: qualcuno si tatua ancora, ma raramente con le tecniche tradizionali, perché, ouch. Dolore e sangue. Per quanto riguarda le mante, sono considerati gli animali che trasportano gli spiriti dei defunti. Quindi la sorte della nonna era in un certo senso annunciata :'(

  • Il ballo.
    In genere la precocità o l'eccellenza in un campo, almeno nella Samoa di un centinaio di anni fa, era vista come una cosa negativa. Un bravo bambino doveva stare in disparte, non rompere le scatole agli adulti e soprattutto non spiccare fra i propri coetanei. È quasi meglio essere tonti che essere precoci. Strano eh? Comunque, erano solo due i campi in cui era un pregio essere più bravi degli altri: la danza e il sesso. I bambini vengono incoraggiati a ballare per intrattenere gli altri fin da piccolissimi, in occasione delle feste, ma non gli viene propriamente insegnato. Devo arrangiarsi copiando dai bambini più grandi e improvvisando, mentre gli adulti che osservano gridano consigli. Ansia ne abbiamo?
    Ironicamente, secondo Margaret Mead, le poche persone che a Samoa soffrono di complessi di inferiorità sono quelle che non sanno ballare o che non riescono a rimediare qualcuno con cui infrattarsi fra le palme. Lol.
    Altra cosa: ci sono tre stili di danza, e noi ne vediamo due in Moana: quello della principessa, ovvero la danza lenta e abbastanza statica che fa la nonna, quella dei ragazzi, che si vede nella canzoncina iniziale (più o meno), e quella del buffone, in genere eseguita da qualche uomo non proprio giovane per sdrammatizzare la lentezza della danza femminile.

  • L’orizzonte mi chiama.
    C'è chi dice che fa schifo, c'è chi non riesce a smettere di cantarla, c'è chi non riesce a smettere di cantarla ma gli fa schifo. Ma sapete che secondo il mio professore è liberamente ispirato a un antico canto di marinai polinesiani? È stato riportato in un libro da un tale Sir Peter Henry Buck, il cui vero nome era Te Rangi Hiroa. Questo tizio, mezzo inglese e mezzo maori Neo Zelandese, è stato oltre che a un medico, un militare, un politico e un direttore di museo, anche un antropologo. Perché spesso per qualche motivo le persone che nascono a metà fra due culture fanno sempre un sacco di cose fighe. Comunque, nel suo libro, Vichinghi d’oriente, troverete questo canto, con cui vi congedo.
La mia pagaia di governo freme perché vuole andare,
La mia pagaia chiamata Kautu-ke-te-rangi.
Mi guida verso l’orizzonte che appena discerno,
Verso l’orizzonte che si leva dinanzi a noi,
Verso l’orizzonte che sempre s’allontana,
Verso l’orizzonte che sempre ci attira verso di sé,
Verso l’orizzonte che ci fa dubbiosi,
Verso l’orizzonte che ci impaurisce,
L’orizzonte dallo sconosciuto potere,
L’orizzonte che nessuno ha ancora superato.
Il cielo che s’abbassa sopra di noi,
Il mare che sotto di noi infuria,
Ci aprono innanzi il sentiero non tracciato
Che la nostra nave deve percorrere.

Beh, se siete arrivati fin qui senza addormentarvi vincete un biscotto, e se leggete anche il prossimo post ne vincete due.

Se volete approfondire vi consiglio:
  • Ruscone, Paini, Antropologia dell’Oceania (R. Cortina 2009). Nei primi capitoli si trova la storia del popolamento del continente (anche gli altri capitoli sono saggi molto interessanti).
  • Margaret Mead, Coming of Age in Samoa. È un classico dell'antropologia, una monografia che racconta la vita com'era nella Samoa di inizio '900 chiedendosi perché i Samoani vivevano l'adolescenza in modo meno conflittuale dei giovani americani.
  • Peter H. Buck, Vichinghi d’oriente. Io ho letto solo il capitolo 5 ed è un libro un po' datato, ma se vi interessa buttatevi.

Purin

4 commenti:

Dicci la tua opinione!